Riccardo Ferrazzi. “Federico Garcia Lorca, Mark Twain, Premonizioni”. Intervista a un grande traduttore e autore

Riccardo Ferrazzi

Intervista a un grande traduttore e autore

Federico Garcia Lorca, Mark Twain, Premonizioni

di Giuseppe Iannozzi

Riccardo Ferrazzi

1. Riccardo Ferrazzi, recentemente hai tradotto il “Romancero gitano” di Federico Garcia Lorca. La tua traduzione è stata pubblicata da Luigi Pellegrini Editore, introduzione di Fabrizio Centofanti, con un saggio critico Ilaria Serra. Perché hai deciso di metterti alla prova con la poesia di Lorca, con il suo “Romancero gitano”?

L’avevo in mente da più di cinquant’anni, quando entrai nella storica libreria Cervantes, a Salamanca, e chiesi cosa avevano di Garcia Lorca. All’epoca c’era ancora Franco, e mi aspettavo che di Lorca avessero poco o niente. Invece avevano l’opera omnia, e non me la lasciai scappare. Quella fu, forse, la prima volta in cui l’incontro con un testo straniero quasi contemporaneo (Lorca era morto solo trent’anni prima) mi fece venir voglia di tradurlo. Ma, all’epoca, era troppo al di là delle mie capacità. Mi accontentai di leggere, rileggere e approfondire. Poi incontrai Marino Magliani e insieme traducemmo un discreto numero di autori spagnoli e sudamericani. E capitò che, a cinquanta e più anni di distanza, dopo aver letto il Romancero chi sa quante volte, il lockdown arrivò come una sfida e un’opportunità: avevamo a disposizione tutto il tempo necessario. Tradurre Garcia Lorca è stato come una tesi di laurea: una faticaccia e una grande soddisfazione.

Lorca, “Romancero Gitano”, traduzione di Marino Magliani e Riccardo Ferrazzi

2. Il “Romancero gitano” è ricco di fatalità, mistero e dolore. L’opera si compone di diciotto liriche e tocca grandi temi: i gitani che si oppongono alla Guardia Civil, il mondo celeste dei romances, il potere esercitato da alcune fatali e non dominabili forze oscure, il primitivismo pagano (quello dei gitani che il poeta sente molto vicini a sé). Immagino non sia stato affatto facile tradurre le immagini lorchiane, che in non pochi casi rimangono criptiche.

Ognuna delle immagini contenute in queste poesie mette i traduttori di fronte a un problema. Gli accostamenti stralunati, le metafore improbabili, suggeriscono atmosfere più che definire fatti. La soluzione interpretativa può venire solo se non si perdono di vista le tematiche di fondo della poesia di Lorca. Fatalità, mistero, dolore, e anche erotismo. Ma soprattutto conflitto. Contro la morte, contro la sopraffazione altrui, contro noi stessi e le nostre incoerenze, contro l’ineluttabilità delle cose umane. Il gitano ferito a morte che cerca disperatamente di raggiungere la sua promessa sposa dice di voler scambiare il coltello col suo scialle, il cavallo con la sua casa. Insomma: sarebbe pronto a cambiar vita. Lo dice, ma sa che non lo farebbe mai, perché il suo mestiere è il contrabbando, e la gitana, che ne è ben consapevole, muore perché comprende di essere un elemento di conflitto interiore per il suo uomo. Lorca non dice apertamente tutto questo, ma lo suggerisce nelle immagini allucinate che passano nella testa del gitano morente. E questa è grande poesia.

Spesso metafore e accostamenti possono apparire forzati, discutibili. Nella nota che abbiamo premesso al libro citiamo alcuni esempi. Solo per aggiungerne un altro: “La tarde loca de higueras/ y de rumores calientes…”. Traducendo questi due versi, è necessario spiegare che gli uliveti andalusi contengono anche altri alberi e in quello dove si è svolta la “reyerta” ci sono dei fichi? E i “rumores calientes” possono restare “infuocati rumori” o è necessario chiamarli irati, iracondi, furiosi? Nella maggior parte dei casi abbiamo ritenuto di non sovrapporci al testo, perché tradurre “spiegando” le metafore distruggerebbe la poesia. Un altro esempio: “Los densos bueyes del agua/ embisten a los muchachos”. Perché spiegare che il poeta vede le onde come tori che caricano? Abbiamo preferito trasporre letteralmente le metafore in italiano, lasciando al lettore il gusto di interpretare, penetrando nel mondo poetico di Garcia Lorca. Il suo modo di presentare immagini che ne suggeriscono altre è tipico, e si incontra quasi in ogni verso. Tradurre spiegando farebbe svanire l’atmosfera che il poeta si era tanto impegnato a creare. Insomma: ci siamo attenuti al precetto che non stavamo traducendo un testo letterario qualsivoglia ma una POESIA.

3. Il linguaggio poetico lorchiano è ricchissimo di simboli, e il “Romancero gitano” non fa eccezione. Questo lavoro ha portato grande fama al poeta. C’è tanta audacia nelle metafore usate dal poeta, un’audacia che ritrae perfettamente l’Andalusia di ieri e, forse, anche quella di oggi. Ma il Romancero, pubblicato nel 1928, non incontra il favore di Salvador Dalí e di Luis Buñuel che lo dicono di impronta troppo tradizionalista. Riccardo, c’è dell’audacia nella traduzione da te operata?

Fra Dalì e Lorca c’è stata inizialmente amicizia e successivamente ostilità, per motivi che con l’arte non avevano niente da spartire. Le motivazioni di Buñuel, che avevano probabilmente un’altra origine, potrebbero non essere necessariamente artistiche. Ma non è il caso di rivangare i pettegolezzi.  Credo che, se c’è stata audacia nella nostra traduzione, ciò ha riguardato soprattutto la decisione di mantenere l’impianto metrico del romance. Non è stato facile trasporre gli ottonari spagnoli in ottonari italiani, ma “dovevamo” farlo: Lorca aveva scelto la forma del “romance” perché voleva trasmettere le sue sensazioni nei modi del racconto popolare: resoconto di cantastorie (Romance de la Guardia Civil Española), favola (Burla de don Pedro a caballo), ninna nanna (Romance de la luna luna), vanteria da bar (La casada infiel), ecc. Una traduzione che ignori il ritmo dell’originale rinuncia a dare al lettore un elemento costitutivo della poesia. Secondo noi, questo non è lecito: l’audacia di una traduzione sta nella tensione a introdurre il lettore nell’atmosfera dell’originale; in questo caso, il ritmo del verso è una componente essenziale.

Riccardo Ferrazzi

4. Rispetto ad altre traduzioni presenti sul mercato, la tua, Riccardo, che cosa aggiunge (o toglie) alla poesia di Federico Garcia Lorca?

Non sta a me dire se ci siamo riusciti, ma il nostro sforzo è stato quello di dare al lettore italiano ciò che Lorca intendeva proporre al lettore spagnolo: quel misto di popolaresco e colto, di allusioni stralunate, di credenze contadine; quel mondo, insomma, che uno spagnolo sintetizza con la parola Andalusia. Se davvero siamo riusciti a dare una sensazione dei suoni, degli odori, dei sapori andalusi, allora abbiamo fatto qualcosa di utile, senza aggiungere niente alla poesia di Garcia Lorca, rispettandola fin dove la lingua italiana ce l’ha consentito, e togliendo il meno possibile.

5. La storia della Spagna franchista inizia nel lontano 1939, per terminare, non senza spargimento di sangue innocente, nel 1975. Nel 1923 Miguel Primo de Rivera costringe il sovrano ad accettare il colpo di Stato, il parlamento viene sciolto e viene subito sostituito da un direttorio formato da militari e da tecnici. De Rivera, personaggio certamente pericoloso per la libertà, non riesce a contrastare i suoi oppositori; e alla fine di novembre del 1933, il centrodestra conquista il potere. Il 16 agosto 1936, Federico Garcia Lorca viene arrestato dall’ex rappresentante della CEDA, Ramón Ruiz Alonso. Il governatore José Valdés Guzmán, appoggiato dal generale Gonzalo Queipo de Llano, il 19 agosto, dà l’ordine di fucilare Garcia Lorca. Il “Romancero gitano” è dominato da un sentimento di fatalità, dove la natura, lussureggiante e verde, gioca un ruolo importantissimo, molto ben sottolineato da Ilaria Serra che, per questa nuova edizione del Romancero, ha scritto un saggio critico. Il poeta è anche un profeta?

Il saggio della prof. Ilaria Serra (che prende spunto dalla pièce teatrale “Doña Rosita la soltera o El lenguaje de las flores”) è un’attenta e appassionata indagine sugli infiniti nessi poetici/metaforici che il poeta individua fra la natura (in particolar modo i vegetali) e i moti dell’animo umano. Ma non mi spingerei fino a vedere negli accostamenti e nell’atmosfera tragica che pervade il Romancero Gitano un vero e proprio presentimento di morte. La cosa più sconcertante, a proposito dell’omicidio di Federico Garcia Lorca, è che molti fatti sono noti, ma troppi sono tuttora sconosciuti (a cominciare dal luogo della sua sepoltura). Personalmente ritengo che il senso della morte (così presente nelle poesie, ma anche nelle pièces teatrali) sia insito nella personalità del poeta. Non sono a conoscenza di presentimenti o profezie circa la sua propria sorte. Credo che la morte lo abbia colto alla sprovvista, quando si aspettava tutt’al più qualche intimidazione, forse perfino percosse, ma non certo di essere assassinato. Se avesse avuto un concreto presentimento di morte sarebbe fuggito: aveva amici in grado di aiutarlo, università americane felici di offrirgli una cattedra. Un libro-indagine, che forse prossimamente tradurremo, ricollega opere come “La casa de Bernarda Alba”, “Bodas de sangre”, “Romance de la Guardia Civil Española” e “Prendimiento de Antoñito El Camborio” a fatti concreti, realmente avvenuti. Gli spunti che ispirarono a Garcia Lorca poesie e tragedie non erano presentimenti ma fatti di sangue che avevano colpito la sua sensibilità.

6. A tuo avviso, Riccardo Ferrazzi, il sentimento di ribellione presente nel “Romancero gitano” è ancora pienamente attuale?

Senz’altro. Può darsi che oggi non prenda la forma di una simpatia per il modo di vivere dei gitani, ma la ribellione è un fatto generazionale inevitabile e perenne. Chi ha la mia età non può dimenticare i “figli dei fiori”, i viaggi in Nepal, le droghe, la rivoluzione sessuale. Credo che ogni generazione abbia la sua ribellione, con le relative degenerazioni (come l’attuale smart phone addiction). La grandezza di un poeta sta anche nel prendere una caratteristica specifica di un mondo minoritario – come quello dei gitani – e trasformarla in un simbolo universale.

Le avventure di Huckleberry Finn - Mark Twain - Traduzione di Riccardo Ferrazzi, Marino Magliani - Prefazione: Emanuele Pettener - OLIGO Editore, Mantova

7. Riccardo, tu hai anche tradotto “Le avventure di Huckleberry Finn” (Oligo Editore, 2023) che è forse il lavoro più conosciuto di Mark Twain. Il romanzo presenta almeno due grandi difficoltà: i tanti slang usati da Mark Twain che conferiscono carattere ai personaggi da lui creati, e il linguaggio che i lettori sensibili trovano disdicevole e offensivo. Molti editori, già da tempo, hanno cominciato a mutilare e censurare tanti capolavori della letteratura mondiale; tu, giustamente, non hai assecondato la moda del politicamente corretto e hai restituito ai lettori italiani un Mark Twain decisamente vivo, non censurato. Una scelta coraggiosa la tua. Ma temo che, prima o poi, la censura sarà tradotta in legge. Un nuovo oscurantismo è già iniziato e sarà molto difficile liberarsene. Tu che ne pensi?

Credo che difficilmente un traduttore serio accetterebbe di stravolgere un testo affidato alle sue mani. Chi traduce non pronuncia un “giuramento di Ippocrate”, ma è impegnato a restituire al lettore le atmosfere, e possibilmente i suoni, i sapori, gli odori, dell’originale. Ma anche le idee e i pregiudizi. Una traduzione di “Le avventure di Huckleberry Finn” secondo i canoni “politically correct” risulterebbe contraddittoria: per trasmettere il messaggio antischiavista di Mark Twain – che dello schiavismo mette in burla tutte le contraddizioni – è indispensabile stare il più possibile aderenti al testo. Se Twain ha scritto “nigger” e tu traduci “nero” o “persona di colore” o un altro eufemismo, dài per risolto il problema che sta alla base del testo. Tradurre “nigger” con “negro” è l’unico modo per dare conto delle visuali distorte dell’epoca, sintetizzate nell’atteggiamento (che a noi appare francamente folle) degli schiavisti, che si consideravano padri e protettori degli schiavi (e quindi autorizzati a punirli), i quali dovevano restare tali (perché ignoranti) ed essere grati ai padroni come i figli devono essere grati ai genitori. L’unico modo di dare conto di questa aberrazione è restituire il testo così com’è. Violentare i testi non fa progredire la civiltà. Come a nulla serve abbattere le statue di Cristoforo Colombo o del generale Lee. Accettare l’intolleranza è come riportare in auge le prassi di tempi bui: i roghi dei libri eretici o l’ostracismo alla “arte degenerata”. Comunque, non sono pessimista: ci vorrà del tempo, ma prima o poi la ragione prevarrà e la censura sarà vista per quel che è: censura, punto e basta, cioè il crimine più odioso che si possa commettere contro la letteratura e la civiltà.

8. Ernest Hemingway ha avuto modo di affermare che “tutta la letteratura moderna americana deriva da un libro di Mark Twain chiamato Huckleberry Finn”, e io credo sia vero. Se i giovani di oggi leggessero Mark Twain imparerebbero molto, ma cosa nello specifico?

Secondo me la cosa più importante che potrebbero imparare (importante per la vita, anche al di là della letteratura!) è che si può fare dello spirito su qualunque cosa, ma un conto è Pappagone, un altro è il sarchiapone. Voglio dire che una barzelletta fa ridere e basta, invece la satira di costume, oltre a far ridere, fa riflettere. Però deve essere fatta bene. Magari mi sbaglio, ma credo fermamente che i professori di liceo dovrebbero insegnare agli studenti come esporre in modo umoristico (e non soltanto ridanciano) le loro critiche e le loro ribellioni: l’umorismo, e non la sghignazzata, è il miglior modo per farsi prendere sul serio.

Premonizioni. Punti di contatto tra umano e divino nell’antichità - Riccardo Ferrazzi - Oligo editore

9. Riccardo Ferrazzi, hai anche scritto un saggio, “Premonizioni. Punti di contatto tra umano e divino nell’antichità” (Oligo Editore, 2023). Parli di grandi personaggi che hanno fatto la storia: Alessandro Magno, Giulio Cesare, Mosè, Gesù, Costantino, Nostradamus, etc. etc. In questo tuo lavoro asserisci che tutti questi personaggi hanno avuto delle premonizioni, vale a dire delle informazioni (paranormali!) concernenti eventi futuri. La scienza ha dato risposte a molti interrogativi che ieri parevano insolubili, e quasi ogni giorno gli scienziati ci spiegano, con prove difficilmente confutabili, l’universo, l’origine della vita, e non solo. Nella società contemporanea che rischia di essere soppressa dall’intelligenza artificiale, che ruolo ricopre la fede?

Anche a questo proposito mi salva – più che la fede – la speranza. La scienza è una cosa stupenda, che ci ha allungato la vita e ha ridotto le distanze da qui agli antipodi. Ma quanti si fermano a riflettere sul fatto che alla base delle scoperte scientifiche ci sono delle intuizioni (e cioè dei salti logici apparentemente ingiustificati)? Galileo affermò l’isocronia delle oscillazioni del pendolo generalizzando una sua osservazione. Ma che tutti i pendoli si comportino come le lampade della cattedrale di Pisa era solo un’impressione, una analogia. Fermat mise per iscritto la sua legge matematica, eppure non riuscì mai a dimostrarla. Insomma: piaccia o non piaccia (e di solito non piace), la scienza non ottiene i suoi risultati soltanto con la logica (altrimenti dovrebbe limitarsi a sviluppare le ovvietà), li raggiunge soprattutto col pensiero analogico. E infatti i computer non hanno mai fatto veramente paura finché erano “logici”. La paura arriva adesso, perché l’intelligenza artificiale rischia di diventare “analogica”. Ce l’aveva già fatto capire Kubrik: Hal 9000 ragiona come un essere umano, in modo sia logico che analogico: sospetta, spia, legge le labbra e prende decisioni autonome.. La mia speranza è che i progettisti dei software di A.I. riescano a inserire nei programmi le quattro “leggi della robotica” di Asimov (o qualcosa di simile).

10. Quali sono i tuoi progetti per il futuro? Continuerai a tradurre classici della letteratura o hai anche intenzione di scrivere dei romanzi?

Spero proprio di continuare a tradurre, ma non posso fare a meno di confessare che ho scritto anche un romanzo, al quale tengo molto. È previsto in uscita in autunno. Per ora posso dire soltanto che è in tre parti, nelle quali il protagonista affronta un mistero con tre diversi atteggiamenti. Può sembrare un giallo ma, se lo è, è un giallo decisamente anomalo. Chi legge questa intervista conti sul fatto che Iannozzi lo riceverà in anteprima, lo analizzerà e mi tenderà diaboliche trappole critiche. Sarà un bel match!

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Informazioni su Iannozzi Giuseppe

Iannozzi Giuseppe - giornalista, scrittore, critico letterario - racconti, poesie, recensioni, servizi editoriali. PUBBLICAZIONI; Il male peggiore. (Edizioni Il Foglio, 2017) Donne e parole (Edizioni il Foglio, 2017) Bukowski, racconta (Edizioni il Foglio, 2016) La lebbra (Edizioni Il Foglio, 2014) La cattiva strada (Cicorivolta, 2014) L'ultimo segreto di Nietzsche (Cicorivolta, 2013) Angeli caduti (Cicorivolta, 2012)
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