Rosella Postorino
Mi limitavo ad amare te
Rosella Postorino indaga le contraddizioni dell’esistenza e sembra dire che salvarsi, a volte, significa perdere tutto.
“Omar ha dieci anni e passa le giornate alla finestra sperando che sua madre torni: da troppi giorni non viene, e lui non sa più nemmeno se è viva. Suo fratello gli strofina il naso sulla guancia per fargli il solletico, ma non riesce a consolarlo. Senza la madre il mondo svapora. Solo Nada lo calma, tenendolo per mano: soltanto lei, con i suoi occhi celesti, è per Omar un desiderio. Ha undici anni, sulla fronte una vena che pulsa se qualcuno la fa arrabbiare, e un fratello, Ivo, grande abbastanza da essere arruolato. Nada e Omar sono bambini nella primavera del 1992, a Sarajevo. Per allontanarli dalla guerra, una mattina di luglio un pullman li porta via contro la loro volontà. Se la madre di Omar è ancora viva, come farà a ritrovarlo? E se Ivo morisse combattendo? In viaggio per l’Italia, lungo strade ridotte in macerie, Nada conosce Danilo, che ha mani calde e una famiglia, al contrario di lei, e che un giorno le fa una promessa.”
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Come nel romanzo vincitore del Premio Campiello 2018, “Le assaggiatrici”, Rosella Postorino indaga le contraddizioni dell’esistenza e sembra dire che salvarsi, a volte, significa perdere tutto. “Mi limitavo ad amare te” (Giangiacomo Feltrinelli Editore) narra la condizione umana di personaggi che hanno vissuto l’esperienza dell’orfanotrofio pur avendo dei genitori e che si salvano venendo in Italia. Omar, Nada e Danilo sono tre bambini danneggiati all’origine, strappati anche dalla loro terra e scagliati verso l’ignoto. Tre bambini che devono fare i conti con ciò che li ha segnati, in cui la vita continua a pulsare inesorabile nonostante il dolore. Le donne sono raccontate attraverso lo sguardo dei figli. Sono madri abbandonanti per salvare i propri figli, madri che rivendicano la propria indipendenza dai figli, madri adottive. Mari e Matte, i genitori affidatari di Omar e Sen, portano nel romanzo la complessità dell’adozione. Si ritrovano a fare i conti con il buco nero iniziale dell’abbandono di un figlio, quello che adotti. Omar, Nada e Danilo devono salvarsi dall’idea della madre ma qualunque forma di salvezza implica un costo, un sacrificio d’amore.
“Mi limitavo ad amare te” di Rosella Postorino è un romanzo che mi è venuto a cercare. È accaduto prima della sua uscita, così ho iniziato il conto alla rovescia fino al 31 gennaio 2023. Intuivo che questa storia mi riguardava, ma non potevo immaginare quanto e come. Sono triestina, quella è stata la guerra della mia gente. Il triestino è balcanico nel DNA. Nessun triestino è esente dall’avere parenti serbi, croati o bosniaci. Si parla tanto dell’importanza della memoria, del fatto che ricordare è il solo modo per metterci al riparo, ma è retorica. La storia non insegna, perché la sua narrazione viene manipolata in senso propagandistico. La Guerra dei Balcani è stata la guerra dimenticata per eccellenza, perché scomoda. Una guerra che non faceva paura all’Europa e che, quindi, si poteva lasciare sullo sfondo. I Caschi blu sono stati inviati per mantenere la pace dove la pace non c’era. C’era solo l’assedio. Rosella Postorino non conosce retorica e nemmeno propaganda. La sua ricostruzione storica è ineccepibile, ma lo senti, mentre leggi, che la scrittrice deve aver indossato le scarpe di Omar, di Nada e Danilo, che deve aver percepito nel proprio corpo che quei ragazzi, sui quali cadevano le granate, erano uguali a lei, ascoltavano la sua stessa musica e indossavano i Levi’s 501. Rosella Postorino ha contezza che il corpo non è un accessorio, che nessuno può esistere se non passando da esso, che l’io è dentro al corpo ed è per questo che sa dare vita come pochi altri autori, a corpi che parlano. Non basta leggere L’Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa per scrivere ćevapi e non ćevapčići e scrivere Cetinici. Perché solo a Sarajevo i ćevapčići li chiamano ćevapi e i cecchini serbi, Cetnici.
“Ma dalla madre chi ti salva?”, scrive Elsa Morante nel suo romanzo “L’isola di Arturo”. Questa domanda me la sono posta durante tutta la lettura di “Mi limitavo ad amare te”. Una domanda come un’ossessione. «E cosa significa davvero essere figli?», avrei voluto domandare a Rosella Postorino. Ho provato a rispondermi da sola: «forse è portare una ferita nella carne e nell’anima per tutta l’esistenza.» Perché possiamo essere madri o padri oppure non esserlo, ma ciò che è certo è che siamo tutti figli, che ognuno di noi per esistere deve separarsi dalla madre e che la prima esperienza, per tutti, è lo strappo. Incappiamo tutti nell’inconveniente di essere nati e la parentela è un incidente che ci segna e ci determina in modo crudele. Ho letto questo romanzo con una sensazione di nudità e avrei voluto domandare ancora a Rosella: «Ma chi ti ha parlato di me?» Sono stata Omar coltivando la fede di ritrovare una radice materna originaria. Come Omar sono stata una fondamentalista dell’amore filiale. Sono stata Danilo che non è orfano ma lo diventa. La madre di Danilo lo ha messo sul pullman perché potesse stare tranquillo e ha potuto separarsi da lui, ma non da sua sorella. È stato lui l’escluso, il diverso che ha trovato il coraggio di iniziare a desiderare per sé, perché il desiderio è la sola forma di salvezza e se smettiamo di desiderare, la vita diventa sopravvivenza, mera biologia. E sono stata Nada così tante volte da non riuscire a contarle. A Nada manca un dito, l’anulare. Il dito della fede, il dito della fiducia. Nada che non crede di aver diritto di essere amata e accettata, che si sente uno scarto, rifiutata all’origine.
“Cosa facevo io mentre durava la Storia? Mi limitavo ad amare te”, scrive Izet Sarajlić. Quando gli eventi storici si abbattono sulle nostre vite e le distruggono, possiamo solo continuare ad amare aggrappandoci alle relazioni che il destino ci ha concesso. Inciampano uno nell’altro, Omar, Nada e Danilo. Nada è il perno di tante vite, è stata testimone del dolore di Omar e questo li unisce per sempre. Nada è anche forma di desiderio per Omar. Danilo è forma di desiderio per Nada. Sono ciascuno per l’altro: mancanza, desiderio, sostegno, protezione, tradimento, dolore, paura. Spesso le persone più importanti della nostra vita non sono quelle che scegliamo. Ci capitano addosso come incidenti. È il destino a farci incontrare. Vale per i genitori, per l’amicizia e l’amore. Prima c’è l’inciampo, la scelta viene dopo. La scelta di continuare a camminare accanto a quella persona. Un’ultima cosa sulla scrittura di Rosella Postorino: chirurgica e nello stesso tempo poetica. Non c’è parola che non sia curata, esatta, insostituibile. L’utilizzo della terza persona e la focalizzazione interna multipla rendono questi personaggi persone in carne e ossa.
Sono inciampata in “Mi limitavo ad amare te” di Rosella Postorino e scelgo di tenerlo sul mio comodino, assieme ai libri che più amo.
Leggetelo. È un romanzo pieno di luce.